“Live at Jedi Sound Studio”, il nuovo Ep mostra il lato più intimo di Leo Pari

Un racconto acustico e intimo che suggerisce all’ascoltatore un viaggio introspettivo, lontano dai sound che ci ha abituati nell’ultimo periodo. È questa l’idea alla base di “Live at Jedi Sound Studio”, l’Ep pubblicato il 15 ottobre che porta la firma del celebre Leo Pari. A meno di un anno dall’uscita dell’album “Stelle Forever”, il cantautore romano ha riarrangiato quattro brani per promuovere un progetto affascinante che – come racconta a Sound On – verrà presentato al pubblico durante un tour invernale anticipato da due date, il 20 novembre a Roma, al Largo Venue, e il 3 dicembre a Milano, al Biko.

 

Cosa significa ottenere una versione acustica di un brano già arrangiato in precedenza. Ci si mette più a nudo?
Sicuramente. Senza scendere troppo nei tecnicismi, nel registrare un disco in studio spesso si lavora anche sulla voce, viene doppiata per avere un effetto più importante. Quello che sentiamo è frutto di tre o quattro voci dello stesso cantante sommate in modo da risultare più gradevoli. Chiaramente dal vivo c’è una sola voce e questo è solo una differenza abbastanza sostanziale. E poi il fatto di suonare insieme a delle persone in quel momento: mentre l’intero album “Stelle Forever” era stato realizzato da me e dal produttore Gianluigi Fazio suonando tutti gli strumenti e quindi registrando a tracce, nella versione live sono con una band. Per ogni brano abbiamo fatto tre o quattro take e poi ne abbiamo scelta una sola.

 

Tanti artisti stanno intraprendendo la strada dell’acustico, come Zucchero e Rkomi, solo per citarne alcuni.
C’è voglia di suonare. Tutti i cantanti che hanno pubblicato dischi nel periodo di pandemia sono stati costretti a rinunciare alla presentazione dal vivo, mentre adesso che si prospetta una riapertura anche dei locali al chiuso, sarebbe bello avere dei contenuti registrati con video o supporti multimediali di quello che può essere il concerto dal vivo. Si presenta anche al pubblico una versione di quello che ci si può aspettare in concerto.

 

Credi che la pandemia abbia contribuito ad attuare un lavoro di maggiore introspezione?
Assolutamente sì, è stato un periodo anche di autoriflessione e di considerazioni. Senza scendere alle considerazioni dei massimi sistemi umani, non è stato un periodo di spensieratezza e c’è stato un maggior lavoro su se stessi. Di conseguenza anche gli autori e gli artisti in generale avranno percepito questa sensazione, perciò c’è voglia di qualcosa di profondo, legato all’esistenzialismo umano.

 

A proposito di voglia, so che hai dei live in programma…
Non vedo l’ora. Ci saranno due concerti di anteprima di quello che sarà il mio tour invernale. Il 20 novembre a Roma, al Largo Venue, e il 3 dicembre a Milano, al Biko.

 

Considerando che di alcuni brani adesso hai due versioni differenti, come pensi di organizzare questo tour?
Invito tutti a guardare in rete i due video usciti da “Live at Jedi Sound Studio”, quello può sicuramente funzionare come anteprima di ciò che accadrà ai concerti. Suonerò con una band dal vivo, i brani saranno riarrangiati in una versione meno elettronica (anche se in generale ce ne sarà tanta). E poi si tratta pur sempre di un concerto, quindi l’emozione e l’empatia che potremo scambiarci con il pubblico sarà una componente fondamentale, un altro strumento da aggiungere alla canzone.

 

Quanto è difficile vivere tutto questo tempo senza un rapporto diretto con il pubblico?
È stata la cosa che mi è mancata di più, perché invece da un punto di vista di scrittura sia per me sia per altri artisti ho vissuto un periodo incredibilmente prolifico. Forse la possibilità di avere più tempo libero ha contribuito a dedicarsi a canzoni incomplete o a concetti che avevo bisogno di immagazzinare e sviluppare con maggiore calma. Nel male, c’è stata questa parentesi positiva, però sicuramente è mancato il rapporto con il pubblico. Abbiamo creato un canale Telegram per rimanere in contatto con un fan club e ho cercato di coinvolgerlo nel videoclip della canzone “Dobermann”, uscito tra marzo e aprile 2020, facendomi mandare dei frammenti di vita da pandemia.

 

 

 

C’è qualche artista con cui vorresti collaborare?
Bella domanda. Mi piacerebbe molto scrivere per Mina, ma questa non è una novità. Vediamo cosa ci regalerà questa stagione di talent.

 

Cos’è per te la musica?
Oltre a un lavoro intendi? Per me è fondamentale, perché prima di essere musicista, autore e cantautore, sono un fruitore e un amante della musica. Ho passato molti anni da piccolo e da teenager nei negozi di dischi. Non avevamo internet e non era così facile entrare in contatto con della musica nuova. C’era Mtv, dove si poteva pescare qualcosa che ti piaceva, come i Nirvana. Li ricordo a “Mtv unplugged”, o ancora prima il videoclip di “Smells Like Teen Spirit”, con Kurt Cobain che indossava quel maglione a righe. E lì mi si è aperto un mondo.
Devo dire che al tempo ci si affezionava di più alla musica, era un bene di consumo ma manteneva sempre una sua unicità. Compravi un vinile o una musicassetta e ti ci affezionavi perché avevi quella, non piattaforme da aprire in qualsiasi momento con il catalogo di tutti gli artisti del mondo a portata di mano. Forse è un po’ troppo…

 

C’è della malinconia?
È meraviglioso avere la possibilità di sentire qualsiasi cosa, ma allo stesso tempo si perde quella magia di essersi messo da parte 20mila lire per ritirare il vinile ordinato la settimana prima, metterlo sul piatto e sentirlo all’infinito. Questa cosa non potrà tornare.

 

 

Alessandro Ventre

 

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