“Una canzone su un povero cuore, il mio: un cuore scottato, stanco, che non riesce più ad amare, ma che lotta per rinascere, per essere spinto altrove, lontano. È pronto a ripartire e ad essere mostrato di nuovo, ma cosciente di aver bisogno di un po’ di coraggio, di una spinta”: Matteo Mobrici, multiforme cantautore sempre in bilico tra canzone d’autore e pop, ci ha raccontato le sue storie, minime per amori grandi, senza fronzoli e tanto suggestive, così autobiografiche da essere di tutti.
Ciao Matteo, raccontaci come nasce la tua carriera!
Io inizio a scrivere canzoni a 14 anni con una chitarra. Poi con degli amici decidiamo di mettere su una band con l’intento di suonare canzoni inedite. Questa band si chiamava Canova. Pubblichiamo un primo disco che viene accolto molto bene, un vero successo popolare di cui vado fiero. L’anno scorso si interrompe la vita della band e io continuo a pubblicare le canzoni con il mio nome. Sono molto contento e molto curioso del futuro e ho uno slancio molto positivo verso la vita di tutti i giorni.
Ottimismo che hai mantenuto anche durante questa fase di pandemia?
Sì, secondo me il pessimismo viene fuori quando si sta bene e viceversa l’ottimismo viene fuori quando si sta male. Credo che sia un sentimento un po’ collettivo con tanta rabbia e dispiacere per quello che sta succedendo, ma siamo abbastanza pronti, secondo me, per questo nuovo mondo. Questi ultimi due anni sono stati molto strani: è stato tutto bloccato ed è stato un colpo basso all’ambito artistico. Ma vedo quello attuale come un tempo di svolta.
Come nasce “Povero cuore”?
Com’è il tuo rapporto con Brunori Sas?
Questo brano arriva dopo “Scende” che contiene un’altra collaborazione eccellente…
Sì, è stato scritto da zero con Gazzelle. Sono molto contento di entrambe le collaborazioni perchè sono persone che stimo molto. Per me contano solo le cose vere: la musica non è intrattenimento ma è un qualcosa che può aiutare ad andare avanti in questa bizzarra vita.