Sound On

Il rock dei Dramalove torna con “La ragazza del dj”

L’anima rock dei Dramalove si identifica nel filo che lega Italia e Inghilterra, con i vantaggi di chi sfrutta la doppia lingua per raccontare emozioni personali senza nascondere un ritornello decisamente pop, come racconta a Sound On Diego Soncin, voce della band fondata nel 2007 a Torino insieme al fratello gemello Riccardo e al batterista Luca Mengon.

 

Il gruppo ha vissuto una lunga gavetta per poi conquistare le classifiche di Mtv e raggiungere le semifinali di X-Factor nel 2015, prima di trasferirsi a Londra e farsi notare attraverso Festival rilevanti come Tramlines, Off The Record, NME Presents e il Great Escape Festival.

 

Accostata spesso alle sonorità di Muse, Placebo, Negramaro, Verdena e HIM, la musica dei Dramalove ha recentemente riabbracciato testi in lingua italiana. Ne sono un esempio gli ultimi singoli, come “Dammi un segno” e “La ragazza del Dj”, presentata a settembre in occasione di Sanremo Rock.

 

 

 

È da poco uscito il vostro ultimo singolo, “La ragazza del dj”. Di cosa parla?
È un pezzo nato diverso tempo fa. Si tratta di una storia vera, autobiografica, perché avevo una relazione con questa ragazza che nel frattempo mi tradiva con un dj. Adesso ci rido su, però al tempo fu molto dura. Come pezzo è onesto, con una presa di posizione molto coraggiosa di chi non accetta di stare male. Il concetto che passa è “solo perché sei la ragazza del dj, non significa che io non possa averti”, perciò anziché subire passivamente c’è questa visione molto maschile dell’amore: “ti voglio e ti avrò”.
Dato che con la pandemia siamo tornati a scrivere anche in italiano, dopo un periodo esclusivamente in inglese, ci è sembrato giusto rimasterizzarla. Tra l’altro l’abbiamo recentemente presentata a Sanremo Rock e ci ha permesso di arrivare terzi.

 

Cosa vi porterete dietro da questa esperienza?
Lo avevamo sempre visto come un contest come tanti altri, invece è stato bellissimo. Quest’anno hanno fatto suonare i concorrenti sul palco del teatro Ariston, che è un sogno che avevamo da sempre. Un’esperienza pazzesca, con la semifinale e la finale, quindi due esibizioni di cui portiamo a casa un ricordo unico. Chiaramente il vero sogno resta poter suonare durante il vero Festival di Sanremo, però adesso pensiamo a questa esperienza super professionale. E ovviamente fa curriculum, perciò siamo molto contenti e soddisfatti.

 

Nel vostro caso, come funziona il processo creativo di una canzone?
Credo che questa domanda sia centrale per ogni persona che fa musica e se io sapessi come si fa, scriverei un disco al giorno. Perché è una cosa incredibile, non si sa cosa accada di preciso, però è qualcosa che non esiste e un attimo dopo c’è. Sono nate canzoni in meno di dieci minuti, proprio come “La ragazza del dj” e penso che l’essere umano non abbia parole per descrivere questo processo. Hai un’emozione, prendi uno strumento e quella serie di accordi ti rappresenta per come stai in quel momento. Poi il testo arriva di conseguenza. Vasco Rossi diceva “Cosa vuoi che sia una canzone?” perché quando è così naturale sembra quasi scontata. Invece si tratta di entità che possono cambiare la vita alle persone, elevare le emozioni.

 

 

Nel vostro curriculum vantate un repertorio in italiano e uno in inglese. Quali sono le differenze e in base a cosa decidete in quale lingua scrivere?
Grazie al riscontro ottenuto con il penultimo singolo “Dammi un segno” e con “La ragazza del dj”, siamo tornati ad avere un percorso parallelo. Va detto che dopo la pandemia e soprattutto con l’esplosione dei Maneskin è tornata l’attenzione sulla musica rock nella discografia italiana. Nel nostro caso, è stata una pura coincidenza, però i numeri dimostrano una richiesta crescente e questo gioca a favore.
Chiaramente suonare all’estero ci spinge a optare anche per l’inglese, perché è meglio esprimersi in una lingua che venga compresa dal pubblico. Però aggiungo che non tendo a tradurre letteralmente le canzoni, perché credo che nella musica sia molto importante il suono.

 

A proposito dei Maneskin, come vivete questo fenomeno?
Per noi è un aspetto molto positivo e non capisco chi li giudica in maniera critica. Sono riusciti in quello che noi stiamo cercando di fare, ovvero una band di persone italiane che riesce a portare all’estero questo tipo di musica. Porta il mercato a capire che nel nostro Paese c’è anche chi sa fare del buon Rock’n Roll e noi lo stiamo notando in prima persona. Questo chiaramente influenza anche le nostre prossime uscite.

 

Suonando già da diversi anni, come si fa a cavalcare le tendenze del momento e come ci si adatta?
Non cercando di adattarsi e facendo ciò che piace. Quando arriva un nuovo trend siamo tutti attraversati da questa evoluzione, ma ognuno la vive a modo proprio. È sempre importante stare al passo e percepire ciò che ci accade attorno, ma sono rimasto molto colpito nel leggere che Franco Battiato non ascoltava mai musica di altri. Il futuro condiziona il nostro presente e non ci resta che fare attenzione a ciò che accade, senza farsi influenzare troppo.

 

Che progetti avete per il futuro?
Ci piacerebbe poter registrare un disco in uno studio vero e proprio, perché noi lavoriamo a casa e poi facciamo masterizzare tutto. Un’esperienza di questo genere sarebbe bellissima.
Inoltre, il principale motivo per cui si suona è quello di andare in tour e non vediamo l’ora dato che stanno uscendo delle date anche in Italia: il 18 novembre suoneremo all’Hard Rock Cafè di Firenze e l’11 dicembre a quello di Milano.

 

Mi racconti cosa significa condividere una band con un fratello gemello?
Da una parte è bellissimo, perché si tratta della tua famiglia e sai che potrai sempre contare su di lui. Dall’altro lato è difficile in quanto una band come la nostra è pur sempre un business e bisogna avere una linea di demarcazione sana. Credo però che si tratti sempre di discussioni costruttive, che appartengono a tutte le band che stanno insieme da tanti anni.

 

 

di Alessandro Ventre

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