Claudio Ferrante: “Quella volta che al ristorante Miguel Bosè…”

L’imprenditore, Presidente e Amministratore delegato di Artist First, racconta a #Soundon i segreti del successo della società e, tra aneddoti e curiosità, fa il punto sul panorama musicale attuale

Ore 10.00. Arriviamo, nel cuore di Milano, nei nuovi uffici e studi di registrazione di Artist First (A1 Entertainment spa), società fondata dall’imprenditore Claudio Ferrante nel 2009. Ad accoglierci, proprio il Presidente e Amministratore delegato di quella che è la prima società italiana di distribuzione discografica nata per offrire un’alternativa al sistema distributivo musicale italiano. Claudio ci fa accomodare nella sala riunioni della società. Alle pareti decine e decine di dischi d’oro e di platino, solo alcuni dei riconoscimenti che vanta A1, che conta ad oggi più di 1500 pubblicazioni esclusive (dirette o acquisite attraverso le etichette distribuite), 112 dischi d’oro (tra singoli e Album), oltre 65 dischi di platino (tra singoli e Album), 1 disco di diamante, e 30 ingressi al numero 1 della classifica di vendita FIMI.

Claudio come è nata l’idea di Artist First? 

Nasce nel 2009 come un iniziale esperimento. Avevo finito il mio percorso alla Carosello, società che ho diretto per quasi 12 anni. Volevo trovare nuovi stimoli e così nel 2009 ho fondato, insieme ad un gruppo di logistica che portava la musica nei negozi, Artist First. Questi signori sapevano che di lì a poco le multinazionali avrebbero accentrato la logistica in Francia e Germania e quindi mi proposero di trovare nuove idee per quella macchina estremamente complessa e importante, fatta di 900 camion che portavano in giro il prodotto home entertanment (cd, dvd). Allora mi chiesi, perché non riusciamo a scavalcare le case discografiche e proporre agli artisti di andare direttamente al mercato, uberizzando la musica?

E così è nata Artist First. Ma come è cambiata la società nel corso di questi anni 12 anni?

Nel giro di questi anni Artist first è cresciuta. Nel 2011 abbiamo fondato la rete di distribuzione digitale (siamo partiti prima che Spotify arrivasse in Italia). Pian piano poi in realtà abbiamo consolidato la mission aziendale e oggi Artist first è molto diversa come Dna rispetto al 2009 e siamo diventati un’etichetta. Abbiamo una società di management di proprietà che ha artisti come Irama, Gabbani, Le VIbrazioni, Mace, Dolcenera…; la mission si è poi espansa con l’acquisizione di Officine Orange, un’officina digital che lavora con grandi brand e ci siamo portati a casa i migliori ingegneri specializzati nell’ambito musicale. E infine c’è il booking, quindi noi organizzeremo anche i concerti: abbiamo in conclusione proprio un’apertura a 360 gradi.

Visto che hai citato i concerti, come prevedi che saranno nei prossimi anni?

Ci vorrebbe una sfera di cristallo per capirlo! Una scuola di pensiero infatti vuole che, una volta vaccinati tutti, possiamo tornare ai concerti senza mascherine, vivendo l’esperienza come prima e anzi più di prima. Ma questo devono dircelo gli scienziati. Sono molto interessanti a tal proposito gli esperimenti fatti a Barcellona. Guardo con molto interesse la proposta del Fabrique di Milano che, con il virologo Pregliasco, ha studiato un protocollo per riuscire a fare entrare nel locale tutti i tamponati. Se dovremo continuare a convivere con questo virus, l’idea di fare un tampone prima di entrare penso sia l’unica cosa che potrà scongiurare il protrarsi di questa situazione perché ad oggi le capienze sono ristrette.

Su quali artisti hai puntato quest’anno?

E invece ci racconti qualche aneddoto divertente su qualche artista?

Quando incide la promozione e la distribuzione nella musica di oggi?

Avere un buon distributore che valorizzi le idee e gli sforzi con attenzione è oggi fondamentale. Se tu vuoi vai su piattaforme tipo Tunecore o Distrokid ci sono milioni di canzoni che vengono caricate da parte di utenti che fanno pezzi nella cameretta e li mettono online. La differenza è che un buon distributore riesce ad enfatizzare la tua originalità e creatività sottoponendola alle redazioni delle grandi piattaforme e questo continua ad essere umano come concetto, non puoi algoritmizzare tutto.

Un’ultima domanda, è possibile prevedere una hit?

Matteo mi fai una domanda molto specifica! Ci sono algoritmi che cercano di capire se un pezzo è una hit oppure no, ma io sono abituato a pensare che ci sia un testo e che debba esserci una trovata originale nell’arrangiamento. Scoprire una hit quindi è sempre e soltanto una questione umana e puoi farlo solo se hai un paio di orecchie! Le nuove tendenze sai nascono anche un po’ per l’originalità, perché trovi qualcuno di particolarmente originale che ha rivoluzionato tutto. In Italia si sta affermando l’Indie, un pop di nuova generazione: si tratta di artisti che erano nelle camerette e che hanno avuto nuove strade per farsi conoscere. Noi siamo stati i primi a puntare su quel genere. Quando le multinazionali si sono accorte che Salmo e altri artisti funzionavano, ci hanno iniziato a mettere un sacco di soldi. Noi ci siamo guardati e abbiamo detto “Bene, se dobbiamo andarci a far male mettendo il doppio o il il triplo degli importi che vale oggi un progetto discografico non ci conviene”. E così arrivò la strada di puntare sul nuovo pop italiano e questa scommessa è stata vinta. Trovo singolare che tutta la montagna di soldi che oggi lo streaming genera si sia riversata negli anticipi che le case discografiche multinazionali danno agli artisti, anticipi molto importanti che valgono forse cifre che loro non recupereranno mai. Un imprenditore come me non può fare questi discorsi: deve essere sostenibile il business, devono esserci le idee più dei soldi. Trovo che nell’imprenditoria ci sono le idee, nelle multinazionali ci sono i soldi. Gli imprenditori oggi devono riuscire a sopravvivere con le idee e con le intuizioni.