L’omaggio di San Siro a Max Pezzali: grazie per esserci “nella buona sorte e nelle avversità”

di Alessandro Ventre

 

Negli occhi si rivedono le braccia al cielo dei sessantamila che per due sere hanno invaso San Siro per cantare ininterrottamente, nella testa i brani che da trent’anni accompagnano le nostre vite facendoci sentire meno soli, soprattutto nelle avversità quotidiane e nei momenti in cui aspettative e realtà imboccano strade destinate a non incontrarsi mai. Perché a Max Pezzali va riconosciuto prima di tutto il merito di aver saputo cogliere stereotipi e frustrazioni appartenenti un po’ a ognuno di noi e di averli fotografati in maniera goliardica con brani diventati l’inno italiano degli anni Novanta.
Ma nella ricetta vincente di un gruppo che tuttora non trova eguali nella discografia italiana, gli 883 sono stati anche precursori. Innanzitutto, di un linguaggio moderno che accetta lo spostamento degli accenti sulle parole pur di rispettare la metrica, di sonorità semplici e allo stesso tempo ricercate, di ritornelli che nella maggior parte dei casi si consumano esattamente in quindici secondi, lo stesso arco temporale concesso da Instagram per le stories.

 

San Siro è la cornice perfetta per ritrovare l’atmosfera di quel periodo e per celebrare un’artista che prima di raggiungere lo stadio di Milano è salito in sella all’inseparabile Harley-Davidson, a cui deve addirittura il nome del gruppo, e ha dovuto percorrere un tragitto decisamente più lungo dei cinquanta chilometri che separano la Scala del calcio dalla sua Pavia.

La conquista del Meazza si costruisce sulle note de “La lunga estate caldissima”, la perfetta introduzione se si considera il clima rovente in cui si consuma il doppio concerto, per poi proseguire con il boato che risponde spontaneamente all’intro di “Sei un mito”. La scaletta che ne segue non presenta brani, ma veri e propri tormentoni che si sono spogliati del loro tempo e hanno conquistato anche le generazioni a seguire. È il caso de “Gli anni”, che a qualche giovane d’oggi ha permesso di riscoprire Happy Days e Ralph Malph; di “Hanno ucciso l’uomo ragno”, che permette a Max Pezzali di annunciare sul palco l’amico Mauro Repetto, con cui ha dato vita all’esperienza degli 883; di “Rotta x casa di Dio”, quando per guidare non c’erano navigatori e gps ma solamente la cartina “adocchiata da Cisco”; di quella “Regola dell’amico” che almeno una volta nella vita abbiamo sperato fosse totalmente infondata; del “Nessun rimpianto” ripetuto nella mente alla fine di tante storie d’amore, di “Come mai” siamo restati notti intere in una stanza a pregare per un sì, di “un deca” che non basta nemmeno per andare in pizzeria.
E poi “Tieni il tempo”, “Nord sud ovest est”, “Io ci sarò”, “Quello che capita”, “La regina del celebrità” e tante altre ancora, alternando sound elettronici e di natura dance a versioni acustiche che mostrano San Siro come un immenso spazio di puntini luminosi.

 

E dopo due serate uniche per la storia degli 883, non resta che unirsi ai numerosi messaggi di ringraziamento manifestati in rete dai presenti all’evento. Per le emozioni che Max Pezzali ha saputo raccontare e trasmettere in trent’anni di carriera, per tutte le volte in cui abbiamo trovato rifugio nelle sue canzoni. Per averci insegnato che rimanere autentici nella buona sorte e nelle avversità è meglio di una raggiante apparenza. Per quel senso di nostalgia verso qualcosa che forse non abbiamo mai vissuto davvero, ma che inspiegabilmente ci manca. Per aver fatto da costante colonna sonora alle nostre vite.

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