La magia del “Canto” di Lucia Rubedo

Lucia Rubedo ha una voce che non si dimentica, ed una figura elegante e raffinata. L’immagine e’ sicuramente vincente. Il connubio voce-eleganza diventa dono prezioso quando si sposa – come nel suo caso – con una  rara sensibilità,  che negli anni è diventata cifra stilistica. Possiamo senza ombra di dubbio definirla  una raffinata interprete con intensi studi alle spalle, dotata di una fragilità femminile che si è trasformata  con il tempo in un granitico carisma professionale. E’ questo lo stile annunciato di Lucia: meraviglia e stupore.

Una lunga gavetta, tanti studi e sacrifici, ma ne valeva la pena: oggi, hai una carriera in costruzione già molto promettente. Lucia Rubedo ha l’occasione di presentarsi al suo pubblico: quali parole scegli di usare?

Se un prisma scompone la luce nei diversi colori che la compongono, io vivo con la musica il percorso esattamente inverso: i colori sono il vissuto, le emozioni, le sensazioni che si mescolano e si riuniscono nel canto, in un viaggio che è in definitiva una ricerca di me stessa. Ai vertici del prisma ci sono le parole volontà, passione, costanza, sogno, sensibilità, sincerità. Nulla è gratis. Se si ha qualcosa da dire e lo si vuole comunicare, servono gli strumenti. Imparare a usarli costa impegno, tempo e dedizione. Questi fattori però sono nascosti e devono rimanere invisibili, perché ciò che conta è l’atto finale, quel momento in cui tutto sembra facile e naturale anche se non lo è, perché sta costando molta fatica psicologica e anche fisica.

 

Tra i Maestri che hanno contribuito a coltivare il tuo talento, a chi ti senti in particolare di dire grazie?

Ho iniziato gli studi del canto al conservatorio G. Nicolini di Piacenza ma, per colpa di un’insegnante sbagliata che non aveva capito la tessitura del mio timbro, ho rischiato di perdere la voce. Mi ero accorta a un certo punto che qualcosa non andava perché la mia estensione vocale, che è piuttosto ampia, si era ridotta, improvvisamente, di molto. Ero veramente scoraggiata: pensavo che fosse tutta colpa mia e che la mia voce fosse cambiata, ma poi, casualmente, un giorno fui invitata a una festa di compleanno in cui, senza saperlo, era presente anche il baritono Giuseppe Riva, colui che cantò per tutti gli anni della sua carriera al fianco di Pavarotti, Placido Domingo, Carreras; insomma, un monumento! Sorrido ancora oggi pensando che alla classica richiesta degli amici di cantare gli auguri al festeggiato, cantai davanti a lui, senza sapere chi fosse, pure male e controvoglia! Volevo solo nascondermi, anche per via del problema serio alle corde vocali che mi impediva di esprimermi – e sì, fra le altre cose sono anche molto timida – ma Giuseppe Riva mi prese in disparte per farmi inaspettatamente i complimenti per la mia voce, lasciandomi stupita e senza parole. Parlai a lungo con lui e iniziò a spiegarmi come e perché dovevo cambiare tutto. Ero una ragazza che cercava di imparare facendo affidamento solo sulle proprie forze economiche – praticamente nulle – e non potevo certo permettermi un maestro che era di fatto una leggenda nella lirica. La cosa che mi lasciò stupefatta e interdetta è che propose di aiutarmi senza nulla in cambio. Citando le sue parole, vedeva in me un talento che doveva solo essere guidato, e sentiva il dovere di aiutarmi. Così, avrebbe reso onore all’Arte. Questo fu il primo grande insegnamento che ricevetti da lui: cercare nella vita di onorare l’Arte con tutta me stessa. Mi prese sotto la sua guida illuminata e illuminante, che spaziò dal lato medico a quello artistico, e iniziai il mio percorso di studi del canto privatamente con colui che è stato, è, e sempre sarà, il mio Maestro. Ho imparato da lui la differenza tra essere semplice “cantante” e il cercare di essere “Artista”; ho appreso la strada della ricerca dentro sé stessi e il proprio vissuto, una strada che buca i piedi fino a farli sanguinare, ma che è l’unica da percorrere, oltre alla potenza del coraggio. A volte mi chiedo cosa sarei stata senza di lui. Quando per motivi personali il M° Riva non ha potuto più seguirmi, sono stata da lui affidata al tenore Marcello Merlini,  che mi ha insegnato una tecnica solida per approdare poi, dopo anni di lavoro, al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano in cui, sotto la guida del soprano Manuela Bisceglie, ho conseguito la laurea di primo livello in canto lirico.

Mi sento davvero grata alla vita per avermi fatto incontrare questi tre insegnanti, che mi hanno donato e che continuano a donarmi tanto.

Un disco appena uscito. Il primo, ma proprio per questo forse il più atteso. Anche dalla stessa critica che, dietro le quinte, ti sta attenzionando. Che brani vi troviamo all’interno, e che tipo di vocalità esprimi con questo Canto?

Il mio primo album si chiama appunto Canto e contiene un brano inedito che dà titolo al disco, scritto dal mio produttore, il compositore Fabrizio Campanelli, con testo di Chiara Dubey.  Oltre a dieci cover di brani che sono entrati nei cuori e nella memoria di tutti, vere e proprie pietre miliari della musica da film, come Se da Nuovo Cinema Paradiso. Del musical, come Somewhere da West Side Story o Never Enough da The Greatest Showman. E anche del pop, come Caruso  di Lucio Dalla. Tutte si prestano bene al mio timbro di voce e al mio stile crossover. Tranne la canzone originale Canto, in cui suona la Budapest Symphony Orchestra diretta dal M° Enrico Goldoni, le altre tracce sono per voce e pianoforte solo, magistralmente suonato dal giovane talento Andrea Napoleoni, che ha anche riarrangiato i brani per pianoforte, sotto la supervisione del mio produttore Fabrizio Campanelli. La realizzazione di questo progetto mi ha messo veramente alla prova e ho potuto immaginare un genere che unisce gli aspetti più belli del belcanto e del pop senza badare a null’altro che all’espressività e alla comunicazione senza confini. Perché alla fine, alle persone che ascoltano, dei confini o delle etichette non interessa assolutamente nulla. Ciò che conta è poter entrare in un mondo che abbia la vita dentro, che permetta di specchiarsi e di rispecchiarsi, che catturi. Non obbedire a un canone freddo e vuoto o a una tecnica sopraffina ma distaccata, ma dare tutto per coinvolgere il pubblico e permettergli di affacciarsi alla finestra del mondo che non si vede (ma che si percepisce) attraverso l’arte, attraverso il cuore dell’artista.

Tra le tracce del tuo album, quale quella a cui sei più legata, e perché? E quale filo unisce i brani?

Il trait d’union di tutti i brani è la ricerca dell’emozione, della bellezza e del contatto con gli altri attraverso me stessa. Sono legata ad ogni brano dell’album perché in ognuno ho cercato di mettere un pezzo della mia anima, che ha molteplici caratteri e chiaroscuri. La musica è il dizionario dei sogni, è magia pura e con essa possiamo comunicare senza parlare. Ci permette di volare senza avere ali, rivivere esperienze passate o, addirittura, è quell’ancora di salvezza che ci permette di andare avanti.  Un brano comunque più di tutti occupa un posto speciale nel mio cuore. È Mi mancherai, tratto dal film Il postino. Parla di mancanza, di assenza, di un vuoto che da sempre cerco di oltrepassare guardando al di là e che cerco di comprendere attraverso la musica, il suono, il canto. È quel vuoto ineliminabile che fa parte delle cose della vita e con cui ho dovuto purtroppo, forse anche troppo presto, avere a che fare. La musica è vita, ed è anche indagine, introspezione. Un percorso che permette di affrontare e gestire il peso dell’assenza. Da quella delle figure di riferimento nell’infanzia (negli affetti, nella famiglia) a quella dei piccoli e grandi compagni di viaggio come la mia gattina scomparsa da poco che si chiamava Mezzanotte, che avevo trovato appena nata molti anni fa, a Piacenza, e che è stata al mio fianco nei momenti più belli, mentre costruivo i miei sogni. Il mio Maestro Riva del resto me l’aveva preannunciato, anche se per anni non ero mai riuscita fino in fondo a capire, quando mi diceva “ricordati sempre che per una cosa bella devi faticare, per una cosa bella ne devi perdere tante altre”. Ecco quindi il senso del dover gestire la mancanza dietro ogni angolo della nostra strada. Non si raggiunge mai l’obiettivo, ma ciò che conta è il percorso: è quello il vero scopo. L’arte sta qui, nel cercare di riempire un vuoto che non si riesce mai a colmare. Non si sta né meglio, né peggio, ma è un percorso necessario come respirare. E’ ciò che tiene in vita e ne fa percepire il senso.

Il  produttore Fabrizio Campanelli della Candle Studio Srl  ha creduto nelle potenzialità della tua voce sin dalla prima volta che ti ha incontrata. Cosa senti di dirgli?

Ci siamo conosciuti all’inizio dell’estate del 2021 grazie ad Alberto Olivero, noto doppiatore che conosceva entrambi.

Mi sento tanto fortunata e grata del mio incontro con Fabrizio. Sin dall’inizio c’è stata molta sintonia, che è nata dalla conoscenza della musica che ci contraddistingue e che ha veicolato rispetto e fiducia. Il nostro è stato un lavoro di squadra, dove i suoi consigli hanno incontrato e rispettato sempre la mia persona, la mia voce e il mio lato artistico.

Mi ha supportata e soprattutto “sopportata” tutte le volte che ho avuto momenti di sconforto e mi ha guidata con tanta pazienza aiutandomi nella ricerca delle mie emozioni. Ed assecondando i miei tempi.

Grazie a lui ho potuto approfondire la forza della vocalità e imparare a capire ciò che può esaltare la mia espressività. E ho potuto sperimentare anche un genere tutto nuovo per me, il “crossover”, che mi ha dato l’opportunità e la libertà di aggiungere alla tecnica del canto lirico un canto nuovo, più libero dai canoni della musica classica, che mi ha consentito di sentire ed esprimere pienamente le mie emozioni in ogni brano che è diventato, così, unicamente mio. Tutto il lavoro che abbiamo svolto in studio è stato un viaggio meraviglioso. Prima nella ricerca, e poi nella scoperta di una mia nuova identità artistica che, senza il suo aiuto,  forse non avrei mai avuto il coraggio di esprimere.

La prima parola che ha contraddistinto il nostro incontro è stata “emancipazione”, che vuol dire crescere e avere anche la possibilità di essere sé stessi con tutto il cuore e il coraggio che serve.

Quali continuano ad essere i sogni di Lucia Rubedo dopo questo primo, importante step professionale? E cosa ti aspetti concretamente da questo disco?

Il sogno è quello di continuare a migliorarmi e di proseguire in quella ricerca incessante dell’espressività, che è anche una ricerca di me stessa. È anche quello di entrare nei cuori delle persone che ascoltano. Ho imparato nella mia vita a vivere il presente che mi viene concesso senza aspettarmi niente, perché è l’unica cosa che veramente ci appartiene e dobbiamo usarlo al meglio, donando tutto quello che si ha e che si può dare. Sicuramente mi auguro che la mia anima possa arrivare a chi ascolta, perché questo è il mio obiettivo principale. E mi auguro di avere sempre il coraggio del fare, nonostante i mille dubbi e le infinite paure, e di crescere sia come persona che come artista, rimanendo l’instancabile sognatrice di sempre. I sogni sono il motore del mondo. Non vi è dubbio che poi alla fine l’universo va schiudendosi come dovrebbe!

I tuoi progetti nel 2024: cos’altro bolle in pentola?

Concerti, anche perché questo album rappresenta una base importante di presentazione per un nuovo progetto, probabilmente con canzoni originali. Intanto mi godo questo momento, che è un piccolo punto di arrivo e allo stesso tempo un grande punto di partenza.