Edoardo Florio Di Grazia presenta Ambra e Corallo: un viaggio fatto di tanti messaggi in bottiglia

Il viaggio del cantautore e collezionista di storie Edoardo Florio Di Grazia fissa un punto cardine nel suo album d’esordio Ambra e Corallo che – come lo stesso artista racconta a “Sound On” – mette da parte l’aspetto introspettivo e si focalizza sulle storie delle persone incontrate nel suo cammino. Diversi “messaggi in bottiglia” nati in Costiera Amalfitana, dove Edoardo Florio Di Grazia ritrova le sue origini, per poi dirigersi in Toscana e approdare in Francia, a Parigi. Luoghi nei quali il cantautore prova a lasciarsi trasportare e dai quali assorbe contaminazioni differenti per dare alla luce una serie di racconti che ritrovano nel suo stile il comune denominatore.

Edoardo Florio Di Grazia, foto di Sam Gregg

È uscito da poco il tuo album d’esordio, Ambra e Corallo. Come lo descriveresti?
Come un album di viaggio, itinerante. Le registrazioni sono iniziate in una vecchia casa di famiglia in Costiera Amalfitana, sul mare. Poi si sono spostate a Parigi, a Tangeri, per poi tornare a Milano. È una raccolta di messaggi in bottiglia, perché durante questo viaggio ho raccolto le storie che mi passavano accanto e ho tentato di trasformarle in canzoni.
 
Questi messaggi in bottiglia hanno un filo conduttore?
Nella mia testa è il mare, la madre di tutti noi e l’unica mia vera casa nel girovagare degli ultimi anni. Ma anche la ricerca e la propensione ad accendere l’antenna e captare i segnali da trasformare in canzoni, perché più che parlare di me stesso ho voluto aprirmi verso ciò che c’è intorno a me, anche nei confronti di posti in cui si incontrano diverse culture e si trovano tante contaminazioni. Non è un concept album, piuttosto un concept life.

Quali sono gli elementi da cui riesci ad attingere maggiormente?
Dalla bellezza apparente, implicita, esplicita o anche solo potenziale. Ci sono dei momenti, quando leggi o quando qualcuno ti racconta una storia, in cui si illumina dentro di te una voglia di condivisione e di scrittura. Ognuno di noi ha delle lampadine che si accendono su determinate tematiche e io sono influenzato dagli ascolti della vita e probabilmente anche dall’inconscio. Spesso mi capita di scrivere una canzone senza sapere il vero motivo, per poi scoprire a distanza di anni di aver detto qualcosa di me prima di me. Nell’oceano introspettivo da cui derivano le canzoni, le cose si manifestano prima che nella vita reale. Ed è come una grande magia. Perciò quando si scrive non bisogna chiedersi il perché, serve lasciarsi trascinare e perdersi, anche se oggi più che mai è difficilissimo.

Come fai a capire se una storia ha gli elementi per diventare una canzone?
La prima avvisaglia arriva dalle emozioni che si generano dentro di te, ma bisogna anche saper trasformare determinate sensazioni. Negli incontri amorosi, ad esempio, uno dei grandi segreti è lasciarlo incompleto per trasformare quell’energia nella scrittura. Una caratteristica che ho ritrovato nei racconti di molti altri artisti, come Vasco Rossi o Lucio Dalla.
E poi bisogna lasciarsi trasportare dalle emozioni, perché di fronte alla musica certe storie vengono fuori. Mogol racconta che ascoltando le musiche di Lucio Battisti si limitava a tirare fuori le parole che già erano contenute lì. La cosa importante è salvare determinate storie affinché al momento giusto possano tornare fuori.

Così facendo, però, si corre il rischio di lasciare in sospeso determinate situazioni di vita?
Scrivere, come qualsiasi lavoro creativo, non ha un orario fisso ma è totalizzante. Io mi perdo tante cose, ma ne guadagno molte altre.
La vita di un creativo è tutto fuorché equilibrata, che non significa che non sia disciplinata. Bisogna saper accettare e capire che scrivere è un mestiere e ha delle regole che non permettono una distinzione tra lavoro e sfera privata.

Tu hai origini campane, hai trascorso buona parte della tua vita in Toscana e infine ti sei spostato a Parigi. Come hai unito questi mondi?
Come raccontavo, per scrivere canzoni bisogna saper captare i segnali. Noi siamo solo delle antenne, perciò il movimento sia interiore che fisico è una componente fondamentale per essere cacciatori di storie. Nel DNA della mia famiglia era già così, finché io ho scelto Parigi perché è una città in cui tutto il mondo passa e ti permette di viaggiare anche restando fermi. Il concetto di casa non so più cosa sia, preferisco cercarla negli altri e in sé stessi attraverso l’atto della scrittura e della condivisione di ogni storia.

Il tuo prossimo passo quale sarà?
Credo che questo sia già definitivo. Quando si è piccoli e si comincia a scrivere, la prima cosa è pensare che le canzoni interessanti siano una sorta di diario psicanalitico del tuo dolore. Questo può essere universale, dato che non ci sono regole, però ho capito che quando la tua visione è dietro quella di un’altra persona diventa ancora più interessante. Se vuoi condividere, devi aprirti all’altro e quando succede resta sempre una componente anche di te stesso.

Oltre alla musica, ti stai misurando con altri linguaggi, come quello del podcast. Come si sceglie il canale giusto per raccontare e raccontarsi?
Cerco di studiare i media, preservando sempre l’originalità. Non puoi scrivere un podcast come scriveresti una canzone, o un libro. Fa parte di quella disciplina di cui parlavamo prima e nel momento in cui si ha voglia di diventare creativi, questo atto deve anche essere al servizio del media di riferimento, anche se l’energia di origine resta sempre la stessa.
In una società come la nostra è interessante aprirsi ai diversi modi di raccontare le storie, questo è un percorso difficile che però dà grande soddisfazione quando si arriva a un’unione di questi mondi attraverso la tua figura, perché sei sempre tu a raccontare.

In questo momento il tuo media preferito qual è?
Sicuramente la musica, perché la considero l’arte massima. È incredibile pensare di emozionarsi con dei suoi e delle vibrazioni che si connettono all’essenza dell’essere umano.

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