Dalle avventure con le prime band alla carriera da solista, nel percorso musicale di Nicolas Donno resta costante la voglia di esplorare nuovi mondi attraverso testi, suoni e melodie che riflettano su tematiche personali e sociali.
L’ultimo singolo del giovane artista si chiama “Chiara”, un singolo che già dal titolo presenta l’universo di chi si presenta per come è, senza accettare stereotipi o compromessi imposti dal contesto. Il risultato è dunque un testo brillante e ritmo travolgente, pubblicati a un anno di distanza dall’album di esordio “Dei e Malanni”. A ulteriore conferma della crescita artistica di Donno si aggiunge la recente partecipazione a Sanremo Rock che, come racconta lo stesso cantautore a Sound On, resta l’esperienza più bella di sempre.
Mi racconti il mondo di “Chiara”, il tuo ultimo singolo?
Chiara potrebbe essere qualsiasi cosa, una persona realmente esistente, oppure una mia fantasia. Non è importante saperlo del tutto, però non si tratta solo di un nome, ma anche un aggettivo che rappresenta un modo di essere e di esprimersi.
Come scopo principale ha quello di essere trasparente e soprattutto di sentirsi una persona libera, non solo di dire ciò che vuole ma soprattutto di essere ciò che vuole, andando oltre le imposizioni. Le interessa fare solo ciò che ama.
Mi incuriosisce capire se c’è qualcosa o qualcuno che ti ha ispirato per questa canzone?
Potrebbe esserci e non si tratta di una persona con cui ho avuto dell’intimità. Potrebbe trattarsi di un’amica che forse ha ispirato la mia visione della coppia e della sessualità in generale del mondo. Diciamo che è frutto di tante cose e che potrebbe esserci una persona che racchiude tante di queste.
Un giorno mi sono anche fatto la domanda “ma se domani dovessi avere un figlio o una figlia, vorrei che fosse come io voglio che sia o invece sarei più felice nel sapere che fa solo ciò che vuole, anche andando contro i miei principi?”. È una domanda impegnativa, ma vorrei che fosse ciò che è meglio per lei.
Guardando anche il videoclip del singolo, hai lavorato tanto sulla comunicazione. Parli di chiarezza e fai riferimento alla tecnologia, ai vari social. Quanto tutto questo influenza la nostra chiarezza?
Stiamo parlando di uno strumento che se utilizzato in un certo modo è utilissimo, perché permette di scoprire e conoscere qualsiasi cosa. Però bisogna volerlo. C’è anche il rovescio della medaglia, perché la comunicazione attraverso i social non offre la stessa chiarezza espressiva che ci sarebbe in un incontro fisico. A volte c’è addirittura una dissonanza tra quello che viene detto e quello che invece vorremmo dire.
Per il video ho scelto di estrapolare immagini da Tik Tok, Instagram e tutta questa serie di social, perché le ragazze che fanno i loro balletti o che parlano stanno in qualche modo mostrando a tutti ciò che amano fare, senza interessarsi troppo di quello che può pensare qualcuno. Oggi bisogna per forza trasgredire per passare un messaggio o per farsi notare, invece io credo che la trasgressione vera sia la gentilezza e la cordialità. Anche con un’azione quotidiana, con ciò che piace fare si può trasgredire, ma in maniera rispettosa e bella.
Nel tuo caso, come funziona il processo creativo di una canzone?
Dipende. Spesso durante il giorno mi annoto delle riflessioni o dei pensieri che in quel momento non hanno nessun valore concreto e specifico. Però le riprendo più avanti, magari mentre sto abbozzando qualcosa con il pianoforte o la chitarra capita di riprendere delle frasi scritte anni prima. Altre volte la canzone nasce prima dal testo e la musica si crea successivamente. Si tratta di un continuo lavoro di collage tra presente, passato e futuro, per arrivare a una dimensione in cui non esiste il tempo.
Quindi può capitare di decontestualizzare dei brani da un determinato periodo? O meglio, può esserci un periodo talmente lungo che poi è difficile chiederti quando nasce per esempio chiara?
Non sempre. Ci sono canzoni come “Chiara” che nascono in un determinato modo e in questo caso risale al primo mese di loockdown sotto forma di engagement: una persona mi ha chiesto “scriveresti una canzone per i miei 30 anni” e io ho accettato. Poi ho realizzato che quel brano era tutt’altro e allora l’ho rielaborato.
Arrivi da un album importante pubblicato l’anno scorso. Come vorresti di proseguire il tuo percorso nella musica?
“Chiara” è un preludio a qualcosa che arriverà, ho già pronte le canzoni per un ipotetico secondo album. L’idea è quella di pubblicare qualche singolo oltre a questo e poi in base a come andranno le cose potrebbe uscire un disco, magari di altre canzoni ancora. Al momento cerco di vedere un po’ come si muovono gli eventi, di lasciare che le cose vadano naturalmente.
Che differenze hai trovato nel passare da una band e una carriera come solista?
Cambia tutto, perché in una band si comincia con delle idee da sviluppare insieme e ognuno mette la propria parte. Personalmente amavo i momenti in cui ci si trovava per suonare insieme e da una parte rimpiango il fatto di non lavorare in una band. D’altra parte, c’è anche il fatto di dover mettere insieme tante teste, tante influenze, tanti background diversi e non sempre incastrare queste cose è semplice, soprattutto a livello umano. Se da una parte si possono sviluppare meglio le proprie capacità, dall’altra bisogna fare tutto da soli, senza punti di vista esterni. Per questo ho un braccio destro che mi aiuta nell’arrangiamento e nella produzione.
Ci tengo a dire che gli strumenti vengono suonati sia nei dischi che nei live, perché non mi piace presentarmi da solo e mettere una base pronta.
A proposito di live, recentemente hai partecipato a Sanremo Rock. Come è andata?
L’esperienza più bella provata lì è stata quella di entrare all’Ariston, dove hanno suonato tutti i più grandi della musica italiana, e mettere piede su quello stesso palco anche solo per una canzone. Inoltre, è un’opportunità per conoscere altri artisti, avvicinarsi a stili musicali che altrimenti non avrei mai ascoltato.
C’è qualcuno che adesso ti sta ispirando in modo particolare?
Attualmente sto facendo zapping, cerco di ascoltare ogni giorno almeno un album che non ho mai sentito nella mia vita. Sto cercando di capire in che direzione stiamo andando e per farlo sto ascoltando anche musica lontana dalle mie preferenze.
Ti giro sotto forma di domanda quello che hai appena detto: secondo te in che direzione sta andando la musica?
Osservando l’Italia fino a qualche anno fa non c’era una scena molto forte, mentre ora devo dire che si è costruita una scena non più underground: l’indie oggi non è più indie ma è pop a tutti gli effetti, pop e mainstream. Secondo me si sta intravedendo qualcosa, però ci sono ancora delle mancanze. E va considerato anche il mercato, dove spesso si fatica a premiare la qualità. Il livello di attenzione e di ascolto è sceso in maniera importante, oggi un brano difficilmente arriva a 3 minuti.
Pensa, l’ultimo genere musicale inventato è la trap, con Drake che l’ha portata in auge ma non è paragonabile in termini di qualità musicale e di artisti ad altre scene nate in periodi storici per precisi.
Come si concilia quella che è la richiesta del mercato commerciale a quelle che sono poi le ambizioni o comunque il desiderio di far musica di un artista?
Vanno definiti gli obiettivi: voglio vivere con la musica o voglio vivere di musica? Nel primo caso si può tranquillamente fare quello che si vuole perché si tratta di una passione. Se invece si vuole lavorare, ci sono dei piccoli compromessi anche se resta fondamentale appoggiarsi a ciò che piace.
Nel tuo caso quali compromessi hai trovato?
In realtà non ne ho trovati. Lo scrittore Stephen King racconta che è solito fare una prima stesura, che gli piace molto. Poi si chiede come potrebbe piacere agli altri e a quel punto ci lavora sopra. Direi che questo può valere in qualsiasi ambito.