I Googa presentano il singolo “Lumache” e sognano in grande: “Ora l’album”

“Un gruppo di amici, in stile tribù, a cui piace passare del tempo insieme per condividere emozioni e riflessioni da trasformare in musica”. È questa la definizione che Francesco Siraco utilizza per presentare i Googa, la band romana di cui è voce e chitarra. E pensare che con gli altri componenti – Eugenio Di Corinto (cori e tastiere), Luca Brignone (basso) e Francesco Marroni (batteria) – è nato tutto in maniera casuale nel 2017, quando tra grandi domande e piccole risposte hanno dato vita a un progetto che si è concretizzato nei numerosi singoli pubblicati in questi anni. L’ultimo, “Lumache” è uscito venerdì 7 ottobre e descrive il senso di libertà provato quando si è soli, “sotto la pioggia, con il cappuccio in testa e i pensieri che volano in alto”.

 

Avete appena pubblicato il vostro nuovo singolo, “Lumache”. Di cosa parla?
È un brano che scava negli aspetti più nascosti di noi, quei traumi personali e sociali che solitamente tendiamo a nascondere. Come persone, ma anche come artisti, siamo spesso chiamati a presentare agli altri il nostro lato più solare e intrattenitivo. Invece “Lumache” affronta gli aspetti contrari e fa emergere quei momenti privati in cui riusciamo ad accettarci per quello che siamo.
Anche in questo caso, come già accaduto in passato con brani come “Occhi di cane” e “Lupo mannaro”, prosegue il parallelismo con il mondo animale, perché ci piace giocare con queste creature non umane che possono essere metafore di altro.

 

Spesso con le nuove generazioni si percepisce la voglia di andare in controtendenza al perfezionismo mostrato soprattutto sui social
Confermo che è una questione molto importante anche per noi che ci affacciamo ai trent’anni di età. Capita quotidianamente di confrontarci con questo mondo in cui conta l’immagine e tutto ciò che viene trasmesso deve essere un luminoso raggio di luce per i follower. In realtà l’arte è stata spesso fatta da persone che mostravano il contrario ed è importante raccontarlo sia per capire se stessi, sia per far riconoscere anche gli altri nei problemi di chi fa musica. Quando chiedevano a Luigi Tenco perché scrivesse solo canzoni tristi, lui rispondeva che quando era felice preferiva uscire.

 

Anche nel vostro caso mi interessa capire come funziona il processo creativo: è la fine di un percorso emotivo, oppure le canzoni aiutano a tirare fuori quello che provate?
Spesso la canzone nasce da un piccolo spunto istintivo e poi prende e dà forma a pensieri ed emozioni. Difficilmente costruiamo una sorta di saggio su una tematica e poi lo utilizziamo per farne un brano, anche se è capitato per questioni sociali.

 

Come si fa a scrivere un brano tutti insieme?
Solitamente partiamo da un’idea proposta da me o dal tastierista e portiamo avanti il tutto con gli altri. Sia sul testo che sulla musica viene messa in discussione ogni componente e si avanzano alternative. Siamo tutti molto critici e questo ci aiuta a concludere solo brani in cui crediamo davvero tanto. La verità è che abbiamo tante canzoni abbandonate a metà perché non siamo riusciti a trovare un punto d’incontro.

 

 

A livello di distribuzione avete scelto di pubblicare diversi singoli in maniera periodica e costante. Come intendete procedere?
Dopo la pandemia abbiamo deciso di puntare su questa strategia che per una serie di ragioni ci consente di muoverci in maniera più agile. Innanzitutto, per un discorso economico e per la richiesta attuale del mercato, perché costa meno e allo stesso tempo garantisce a una band come la nostra di essere presente, con cose sempre nuove da dire. Confesso che questa dimensione inizia a starci stretta, perciò stiamo pensando a un album, tutto di inediti, con un’idea di fondo dall’inizio alla fine.

 

Dopo quello che hai raccontato all’inizio, il titolo dovrà necessariamente contenere il nome di un animale…
Probabilmente sì. O meglio ancora, una famiglia di animali.

 

Il genere indie ha vissuto un grande successo soprattutto a Roma e dintorni. Da artisti romani, vi chiedo se vi siete dati una spiegazione?
Non saprei darti una risposta precisa. Al momento la scena indipendente di Roma non è così viva, ma di sicuro lo è stata qualche anno fa. Stiamo comunque parlando di una città con tanti disagi e probabilmente questo aiuta a fare nuova musica, come dicevamo all’inizio dell’intervista. È sempre più difficile identificare una scena, però considera che noi ci stiamo spostando verso il rock alternativo italiano: ci sentiamo più vicini agli Afterhours o ai Verdena e meno a Calcutta.

 

Il vostro sogno nel cassetto?
Sicuramente l’album. Sarebbe qualcosa di molto impegnativo come progetto, perché bisognerebbe restare fedeli a ciò che si sta facendo per tutte le tracce e noi siamo un po’ incostanti. Sarebbe una soddisfazione immensa sotto tutti i punti di vista.