Leon Faun: “Con il nuovo album mi racconto senza filtri”

Leon Faun, all’anagrafe Leon de la Vallée, presenta il suo ultimo album LEON (Island Records/Universal Music Italia). Questo lavoro arriva quasi tre anni dopo il suo album d’esordio, “C’era una volta”, ma segna una svolta significativa nella sua carriera. Per la prima volta, Leon decide di aprirsi completamente e raccontare se stesso e il suo mondo interiore senza alcuna barriera o espediente narrativo. Cantante, rapper e attore, Leon ha dimostrato sin dagli esordi di saper intrecciare entrambe le sue passioni. L’artista poliedrico si è raccontato in un’intervista a Sound On, condividendo le sue esperienze e le sue emozioni.

Sei qui per presentare “Leon”, il tuo nuovo album che porta il tuo nome. Esce tre anni dopo il tuo primo album “C’era una volta”. Cosa è successo in questi anni e come è nato questo nuovo progetto?

“Leon” è nato dall’esigenza di raccontarmi in modo più diretto. Nei miei lavori precedenti ero più criptico, meno esplicito. Questa volta ho sentito il bisogno di scrivere qualcosa di più umano. Durante questi tre anni mi sono posto delle domande e ho trovato le risposte scrivendo.

Come mai questa esigenza e perché hai deciso di chiamarlo proprio con il tuo nome?

Ho voluto combattere alcuni miei demoni e affrontare alcune mie nemesi come la rabbia e altri temi trattati all’interno del disco. Ho cercato di farlo in modo privo di filtri proprio per esigenza. Il motivo per cui questo album porta il mio nome è perché non ci sono allegorie, doppi sensi o concetti legati a viaggi passati. Si parla innanzitutto di me stesso, cosa che avevo sempre cercato di evitare.

Rispetto al primo album, si nota un cambio stilistico. Qual è stata la ragione di questo cambiamento?

Abbiamo voluto sperimentare, giocare con nuovi colori, proprio come si evince dalla copertina, anche dal punto di vista del sound. Inoltre, c’era la voglia di approcciare in modo diverso il discorso live. Personalmente, credo che questo disco si presti molto di più ai concerti rispetto al precedente.

Hai scelto di raccontarti senza filtri in questo album. Quando hai trovato il coraggio per esporti in maniera così diretta? C’è stato un particolare brano che ti ha aiutato a sbloccarti?

“Profezia” è stato il pezzo dal quale poi è partito tutto il viaggio.

C’è una cosa che colpisce tanto di questo disco, e cioè l’assenza di featuring che ormai sembrano obbligatori. Come mai hai scelto di andare da solo?

Inizialmente avevamo dei nomi in ballo per eventuali collaborazioni, ma ad un certo punto del processo, ascoltando le tracce e lavorandoci, ho realizzato che il disco non necessitava necessariamente di featuring. Ho capito che l’essenza stessa dell’album derivava dall’esigenza di raccontarmi senza filtri.

Un disco in cui è tangibile l’esigenza di raccontarsi, ma anche una rabbia invadente, come si nota in “Funerale mio”. Da cosa deriva questa rabbia?

La rabbia presente nel mio album deriva da diverse esperienze e situazioni che la vita mi ha presentato, forse alcune delle quali non avrei mai voluto affrontare. Tuttavia, ho utilizzato questa rabbia come una chiave per il disco. Nel corso dell’album, ho cercato di affrontarla e di instaurare un dialogo con essa. La rabbia può essere una fonte incredibile di energia e determinazione, spingendoti a raggiungere i tuoi obiettivi. Allo stesso tempo, però, può essere estremamente autodistruttiva. Ho lavorato per trovare un equilibrio tra queste due estremità.

Puoi parlarci del processo creativo dietro alle tue canzoni? Da dove trai ispirazione e come traduci le tue idee in musica?

La mia musica nasce con Duffy, ci stimoliamo reciprocamente. Il processo creativo può iniziare sia in studio insieme, sia quando mi invia un beat già pronto. Altre volte, registro un’idea e poi la discutiamo insieme. La maggior parte delle creazioni parte dalla sinergia tra di noi.

In merito a “Ragazzo Normale”, c’è un tentativo di legare la tua esperienza musicale a quella cinematografica?

Questo brano è molto teatrale, abbiamo cercato di ricreare un’atmosfera simile a quella dei film di Tim Burton. È una canzone estremamente visiva, capace di evocare una storia senza bisogno di un video musicale. Da sempre, ho cercato di legare strettamente l’aspetto visivo a quello sonoro nelle mie creazioni, e spero di esserci riuscito.

Hai menzionato di essere coinvolto anche nell’aspetto visivo dei tuoi progetti, come ad esempio nella veste di sceneggiatore dei tuoi video musicali. Come influisce questa tua passione per il mondo audiovisivo sulla tua musica?

Sono due mondi completamente separati ma che amo allo stesso modo. Tuttavia, spesso si scontrano in termini pratici. Potrei ricevere un’offerta per un ruolo che desidero accettare, ma non posso farlo perché sono impegnato in fase di scrittura di un disco, o viceversa, potrei essere sul set di un film e non poter essere in studio di registrazione. Va sempre trovato il giusto equilibrio.

Sei cresciuto in una famiglia di attori. Da dove proviene questa tua passione per la musica?

Il mio sogno iniziale era quello di diventare attore. Tuttavia, la presenza costante della musica nella mia vita, con mio padre che suonava spesso in casa, ha alimentato la mia passione per la musica fin dall’infanzia. Ho iniziato a scrivere video musicali per avvicinarmi all’aspetto visivo dei film. Mi divertiva e ho pensato che fosse un modo più accessibile di esprimere la mia creatività rispetto alla realizzazione di cortometraggi o film completi. Con il tempo, le mie due passioni per la musica e l’aspetto visivo hanno coinciso. Sto attualmente lavorando su entrambi i fronti, con una serie in uscita in cui recito, e sono determinato a continuare a perseguire entrambe le mie passioni.

Come hai scelto il concept visivo per questo disco? Qual è il significato dietro questa scelta estetica?

La metafora della ‘palla al piede’ può rappresentare il peso delle esperienze che ho portato con me per tutto questo tempo, di cui ho parlato all’interno dell’album, ma anche semplicemente il blocco dello scrittore che ho affrontato. Riguardo alla ‘tela bianca’, poiché ho sempre sceneggiato i miei video musicali, ho deciso di utilizzare il colore su di me stesso, metaforicamente parlando, anziché sulla tela che simboleggia la sceneggiatura. La tela è vuota perché non ci sono racconti esterni che non siano la mia persona. In passato ero più criptico nella mia espressione.

Chi è Leon Faun oggi?

Un ragazzo normale.

Hai annunciato due concerti per presentare il tuo nuovo album a Roma e Milano. Cosa possiamo aspettarci da queste performance dal vivo?

Suoneremo il 10 maggio all’Orion Club di Roma e il 12 maggio ai Magazzini Generali di Milano. È davvero emozionante poter finalmente presentare uno spettacolo dal vivo e portare anche il mio primo album, “C’era una volta”, dopo le difficoltà incontrate durante il tour precedente a causa del Covid. Non vediamo l’ora di divertirci sul palco. Personalmente, suonare a Roma ha un significato speciale per me, poiché da bambino ho avuto l’opportunità di assistere a molti concerti di artisti che mi hanno ispirato, su un palco così importante e simbolico. Anche suonare a Milano è un’esperienza straordinaria. Preparatevi per una serata piena di energia e divertimento, con una sana dose di follia!

di Alessia Lovato