Se la musica fosse un’immagine, quella di Francesco Gabbani sarebbe un sistema solare in cui poter ritrovare tutte le componenti della sua personalità, da quella più romantica e profonda a quella ironica. Ma questa è solo una delle tante curiosità emerse durante l’intervista che l’artista ha rilasciato a Sound On, con uno sguardo rivolto al passato e che non dimentica la lunga gavetta precedente all’esplosione al Festival di Sanremo, e uno concentrato sul presente e sul futuro, senza escludere nuove curiose esperienze, come quella che nel 2022 lo vedrà impegnato come attore.
Poche settimane fa ti sei sottoposto a un intervento alle corde vocali, come stai?
Sto molto bene. Mi piace definire l’intervento che ho fatto come una sorta di tagliando, quello che si fa con l’automobile. Non riguardava problematiche di salute, si trattava di un dettaglio tecnico: come il tennista a cui viene il callo alla mano quando impugna la racchetta, allo stesso modo io ne avevo uno alle corde vocali, probabilmente dovuto all’usura degli anni. Non mi creava dei veri e propri problemi, ma un affaticamento precoce durante i concerti, perciò ho deciso di fare questo pit-stop per agevolare il mio lavoro. E poi mi sono dovuto concedere un periodo di ripresa, mi sono concentrato soprattutto su come iniziare nuovamente a utilizzare la voce e più o meno da settembre sono tornato a pieno regime. Anzi, sto sicuramente meglio perché mi affatico meno.
Come viene vissuto da un cantante un intervento alle corde vocali? In fondo si tratta del proprio strumento di lavoro…
Ovviamente c’è un minimo di preoccupazione e ho fatto tutte le valutazioni del caso prima di intraprendere questo percorso. Inoltre, sono stato subito rassicurato perché si tratta di un intervento di routine, con un’ottima percentuale di riuscita. Per fortuna ho avuto la possibilità di farmi seguire da un team di professionisti, a partire dal professor Fussi che è un foniatra tra i più importanti in Italia.
Se devo essere sincero, paradossalmente l’unica preoccupazione era legata al fatto di andare a sistemare talmente tanto le corde vocali da perdere quelle che sono le caratteristiche portanti della mia personalità vocale. In realtà, ho scoperto che togliere questo “callo” non avrebbe modificato in alcun modo quello che tecnicamente viene chiamato solco, ovvero una sorta di conformazione congenita che si riconosce con la vibrazione della voce quando vado sulle note alte. E poi ero preoccupato perché per la prima volta in vita mia mi sono sottoposto all’anestesia totale. Devo ammettere che è stata quasi piacevole, alla fine mi sono riposato.
Ti sei sottoposto all’operazione dopo un evento molto importante per la tua carriera, il concerto all’Arena di Verona, non un posto qualunque…
Personalmente è stato un momento importante per due motivi.
Il primo è legato al fatto di poter fare un concerto tutto mio in quella location, che avevo già vissuto in altri contesti e con altri artisti. Per intensità e valore ha un significato emblematico per la carriera di ogni artista. Se me lo avessero detto quattro o cinque anni fa non ci avrei mai creduto.
A questo va aggiunto il momento storico da cui uscivamo, perciò ho vissuto con l’entusiasmo del principiante il contatto con il pubblico, una sensazione che mancava da un po’. Sicuramente la tecnologia ci aiuta e durante il lockdown ci ha permesso di organizzare eventi, concerti e dirette di qualsiasi tipo, ma lo scambio di vibrazioni che avviene durante un concerto dal vivo non si può replicare in alcun modo.
Durante la pandemia come ti sei approcciato alla musica? Sei tra quelli che hanno dovuto trovare nuovi stimoli per scrivere, in quanto abituati a trarre ispirazione dal contatto con le persone, oppure sei a favore di chi racconta di aver avuto più tempo per approfondire temi di una certa rilevanza?
Nella prima fase intensa di lockdown mi sono dedicato a tutto, tranne che alla musica e all’idea di comporre nuovi brani. Solitamente non mi approccio alla scrittura con un processo intenzionale di indagine su qualcosa, ma nasce da varie esperienze di vita che in un modo o nell’altro ritrovo in un secondo momento, quando scrivo. Questo mi ha portato a vivere l’isolamento di pancia, facendo quello che mi sentivo da fare, ovvero dedicarmi a diverse attività manuali che mi permettono di avere un riscontro immediato, cosa che invece non provo come cantautore. Scrivere canzoni non permette di avere una risposta pratica immediata, perché trascorre sempre un lungo lasso di tempo tra le emozioni che vivi quando componi un brano e il momento in cui il pubblico lo ascolta e te le restituisce indietro. Ovviamente durante questi lavoretti, la parte razionale cercava di elaborare la situazione che stavamo vivendo, che credo abbia portato tutti a una rivalutazione dell’approccio alla vita e dell’importanza di certi valori.
Tutto questo c’entra in qualche modo in uno dei tuoi ultimi brani, “La rete”?
Sicuramente sì, anche se l’esigenza di scrivere una canzone del genere nasce prima della pandemia. Probabilmente il lockdown ha messo in luce le potenzialità positive della tecnologia, mentre l’idea della canzone si concentra su quanto la personalità che esprimiamo in rete, principalmente sui social, corrisponde alla nostra personalità intima. Spesso l’interfaccia virtuale che tendiamo a proporre di noi stessi è diversa da ciò che siamo veramente, è molto edulcorata e tende a essere quello che forse vorremmo essere, con un filtro. Questo porta ad accentuare ulteriormente il confronto con le altre realtà e ad avere delle frustrazioni quando non arrivano delle risposte all’altezza delle aspettative. Il paradosso è che si tratta di una presa in giro che facciamo a noi stessi e che provoca delle sofferenze incredibili. La rete, intesa come trappola mentale, è proprio questo. Noi ci ritroviamo in rete nella rete.
Invece sull’altro nuovo brano, “Spazio Tempo”, cosa puoi raccontarci?
Sta raccogliendo un consenso inaspettato considerando che non nasce come un singolo vero e proprio, soprattutto a livello di fruizione. Mi è stata commissionata per diventare la colonna sonora di una fiction e basandomi sulla sceneggiatura della serie l’ho scritta insieme a Gino Pacifico, un autore del quale ho una grandissima stima e con cui riesco a esprimere con una sinergia particolare determinati concetti.
Del progetto mi ha colpito l’idea di rappresentare la figura di un professore di filosofia in maniera atipica. In sostanza la canzone prova a spiegare che siamo abbandonati alle emozioni, anche se è difficile arrivare a un dunque. Quando ci impegniamo a seguire dei paletti imposti dalla dottrina filosofica, le nostre vite vengono improvvisamente sconvolte da grandi emozioni, come l’amore, i traumi, le sofferenze. Perciò la filosofia della vita forse sta nell’accettare di essere succubi di queste situazioni. Tanto vale vivere la parte emotiva e per questo “Spazio Tempo” ribalta le cose: parla di un’ora nello spazio e un punto nel tempo, mentre in realtà è il contrario. I riferimenti cambiano e noi non possiamo controllarli, bisognerebbe invece cavalcare l’onda.
Tu hai spesso trovato l’incastro giusto tra testi molto profondi, riflessivi e melodie orecchiabili che permettono una facile fruizione.
La mia propensione a essere musicalmente pop a volte tradisce l’intenzione di un’analisi più profonda. Ma sono le conseguenze di una scelta che faccio, perché se dicessi le solite cose con una modalità più impegnata e cantautorale sarei probabilmente preso maggiormente sul serio per quanto riguarda i ragionamenti più profondi. La mia musica è lo specchio di quello che sono, perciò rappresento sia la componente romantica, sia l’ironia, sia pensieri che guardano al contesto.
Che progetti hai per il futuro, oltre ai due concerti di Roma e Milano? Ti vedremo a Sanremo?
Vedo in questi giorni iniziano a uscire i primi nomi, perciò anticipo subito che non sto pensando al Festival perché sto raccogliendo i frutti dei due brani più recenti, “La rete” e “Spazio Tempo”, ma sto anche ultimando il prossimo album. L’idea è di pubblicarlo nei primi mesi del 2022. Il primo vero appuntamento sarà una canzone relativa a un film che uscirà entro la primavera, che si intitola “La donna per me”, nel quale ho anche recitato una parte, come attore.
Questa è una bella novità! Come ti vedi come attore?
Per ora è stata un’esperienza. Mi è stata proposta dal regista Marco Martani e io l’ho accettata di buon grado per viverla quasi come un gioco e mi ha divertito molto, lo rifarei. Mi ci sono approcciato senza troppe consapevolezze, con l’entusiasmo del principiante e mi ha lasciato un bellissimo ricordo. Non vedo l’ora di vedere quello che sarà il risultato, per capire se sono credibile.
Alle tante esperienze trasversali che hai fatto cosa ti piacerebbe aggiungere? Qual è il sogno nel cassetto?
A me nella vita piace provare, soprattutto per quello che ritengo adatto alle mie consapevolezze. Se dovessero propormelo, mi piacerebbe fare qualcosa di televisivo legato ovviamente alla musica.
E in futuro vorrei anche fare un tour nei teatri, che io amo, con una bella orchestra di archi.
Di Alessandro Ventre