La musica di senza_cri è un “Salto nel vuoto”

Maturità, umiltà e la consapevolezza di avere a disposizione uno strumento come la musica per raccontare il suo punto di vista in maniera chiara e profonda. Sono i segni particolari di senza_cri, cantautrice brindisina classe 2000 che a soli tre anni ha preso in mano la chitarra per poi intraprendere un percorso musicale che lo scorso 18 gennaio l’ha portata alla pubblicazione del primo Ep, “Salto nel vuoto”.

Un risultato ottenuto dopo un anno ricco di esperienze positive e grandi soddisfazioni, dalla rassegna live itinerante Tenco Ascolta all’esibizione nel corso della serata dedicata ai finalisti di Sanremo Giovani con il brano “A me”. Dietro ogni parola e ogni nota del suo nuovo progetto c’è un’attenzione che senza_cri prova a trasmetterci attraverso l’intervista rilasciata a Sound On.

Come ci si sente quando viene pubblicato il primo Ep?
È come partorire un figlio. So che è un’immagine un po’ strana da percepire, però è esattamente così perché sto dando alla luce una parte di me e la sto regalando a tutti. Come se stessi partorendo un figlio che verrà adottato: io non ho la possibilità di scegliere i genitori, ma spero che possano amarlo come lo amo io.

 

Che genere di aspettative hai da questo lavoro?
Cerco sempre di non crearmene troppe, spero solo che arrivi ciò che ho da dire. La mia aspettativa massima può essere esclusivamente poter cantare questi brani insieme a tutti coloro che avranno voglia di condividerli con me, riuscire a entrare nella vita degli altri senza fare troppo chiasso, come farebbe una persona che ti vuole bene e ti sa leggere dentro.

 

Ascoltando “Salto nel vuoto” emerge l’alternanza tra brani più intimi e personali, come “A me”, mentre altri sono rivolti a terzi, come “Bordi”. Quanto c’è di te e quanto c’è degli altri? E chi tipo di lavoro hai fatto per miscelare il tutto?

 

Mi pare ci sia anche un lavoro visivo: l’idea, ad esempio, di mettere “Salto nel vuoto” prima di “Bordi” non credo sia casuale…
Questa è una bella osservazione. Io lavoro tanto di immagini, anche nei titoli, perché ho tanta memoria fotografica e mi ha sempre aiutato far corrispondere un pensiero a un’immagine. Ed è quello che faccio anche nelle canzoni perché credo sia un modo per arrivare facilmente agli altri. La scelta di “Salto nel vuoto” prima di “Bordi” deriva da una sorta di consequenzialità perché prima parlo di un amore che ho riscoperto come bene (“Salto nel vuoto” è stata scritta in due anni diversi perché ho vissuto delle emozioni e le ho elaborate in un secondo momento), mentre poi faccio riferimento a un amore che va da sé e che vuole rendersi ancora più complice. Sono particolarmente legati, anche se può essere strano da vedere.

 

Collegandomi a quanto appena detto, che approccio hai alla musica? Diventa un mezzo per elaborare quello che vivi, o viceversa è il risultato di quanto provato?
Entrambe le cose, mi è capitato che la musica fosse la causa e altre in cui fosse l’effetto. Canzoni come “Salto nel vuoto” sono un modo per elaborare una situazione e quindi ho bisogno del tempo per poter concludere la canzone. Vale lo stesso discorso per “Edera”, anche se l’ho scritta in dieci minuti.
Altri brani nascono da soli, senza nessun bisogno particolare, anche se poi realizzo che in effetti c’era qualcosa che mi tormentava e mi rendo conto che la canzone è venuta in mio soccorso.

 

Ci sono degli argomenti di cui fai fatica a scrivere?
A prescindere dalla musica, io sono una persona molto libera nel dialogo. Parlo di tutto e non ho mai paura di farlo perché l’unico modo in cui mi so spogliare è con le parole. Credo che vengano considerate e studiate bene perché possono essere un mezzo potentissimo. In “Amor 25 novembre” non ho avuto paura a trattare un argomento delicato perché esiste e finché esiste io ne parlo. L’unico modo che ho per farmi sentire è dare voce ai miei pensieri.
In “A me” non ho avuto difficoltà nel parlare di me perché è quello che sono e arrivo così alle persone. A volte gli altri percepiscono qualcosa di mio che io fatico a percepire. Trovo più difficile, invece, volermi bene, ma credo capiti a tutti…

 

A proposito della scelta delle parole, che tipo di lavoro fai?
Per me è naturale, non ci penso troppo. Penso che mi abbia aiutato leggere tanto e guardare tra le righe. Può avermi aiutata a tirare fuori un flusso di parole che trovo senza cercare troppo. Spero che siano giuste.
In qualsiasi dialogo, mi ripeto in testa le cose tre volte prima di parlare, perché voglio dirle bene. Invece quando scrivo canzoni non ci penso proprio, quindi mi sento tre volte più libera.

 

Visto che hai parlato della lettura, quali sono i tuoi riferimenti in questo ambito?
La lettura e la letteratura mi vengono incontro spesso e in diversi modi, come fa la musica. Ma non ho un autore o un’opera fissa. Però spesso arrivano delle poesie o un libro che mi aiuta. Di recente ho letto delle parti dello “Zibaldone” e mi sono resa conto di ritrovarmi in tante cose che poi ho cercato di riproporre in una canzone. Ogni tanto riprendo l’ermetismo di Ungaretti, o “Il fanciullino” di Pascoli, che fa parte della mia persona. Prendo sempre il buono da tutto e me lo lego al cuore.

 

Hai cominciato a suonare quando eri ancora molto piccola: come vivi la musica e cos’è per te?

 

E guardando al futuro come ti vedi?
Spero in un percorso pulito. Non voglio dover arrivare subito con mezzi strani, bensì voglio farlo quando è il momento giusto con un percorso che mi dia soddisfazione, costruito con piccoli mattoncini. Le canzoni non mi preoccupano perché scrivo così tanto che quello è l’ultimo dei problemi. Però non voglio lanciarle a caso, mi piacerebbe fare un lavoro di qualità dando ad ogni mio pezzo un’identità precisa che possa valere nel tempo. E vorrei condividere tutto questo con persone che si sentono vicine a me, perché fare musica è un lavoro totalmente emotivo ed è difficile lavorare con delle parti che potrebbero anche diventare spigolose o farti male.

 

Nella musica qual è il tuo “salto nel vuoto”?
Tutte le mie attività musicali lo sono, anche il Tenco Ascolta, Area Sanremo e Sanremo Giovani. Io arrivavo dalla mia stanzetta, dal mio essere così minuscola e mi sono buttata con tutta me stessa. Ho chiamato così l’ep perché non voglio mai atterrare, voglio sempre saltare e avere l’ansia buona che dà valore alle cose. Quando una persona si agita prima di un impegno vuol dire che ci tiene ancora, quando non accade forse non ci tiene poi così tanto.

 

Visto che l’hai citato, come hai vissuto Tenco Ascolta e Sanremo Giovani?
Io ho sempre tanta ansia da scaricare, non vedo l’ora di esibirmi perché gli do tanta importanza e ho voglia di fare. Tenco Ascolta è stato particolare in quanto si trattava del mio primo concerto effettivo e mi sono presentata anche nella noncuranza di tante cose, come l’abbigliamento. Però poi è andata benissimo.
All’Ariston stavo sognando, pensavo al fatto che tanti artisti importantissimi erano saliti su quello stesso palco prima di me. Quando poi ho cominciato a cantare mi sono sentita posseduta, mi sono sentita libera e da quel momento penso di non aver più smesso.
Area Sanremo è stato un processo di crescita che mi ha permesso di conoscere persone che stanno attorno a questo mondo e ti supportano nel lavoro che poi vai a fare, perché alla fine parliamo sempre di un lavoro. Non l’ho vissuta come una competizione con altri, era una gara con me stessa e penso di averla superata. Chiaramente si può sempre fare meglio, soprattutto per una come molto perfezionista, però sono stata molto contenta per l’affetto che ho ricevuto e per me quella è stata la vittoria.

 

I prossimi progetti quali sono?
Sto già lavorando a nuovi progetti discografici, anche se non posso anticipare nulla. Per quanto riguarda i live ci stiamo organizzando, spero di poterli fare perché mi sento troppo bene quando sto con gli altri, quando mi libero e vedo gli occhi di chi mi guarda fare la cosa che più preferisco al mondo.

 

 

Alessandro Ventre

 

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