Asteria lancia il nuovo singolo “Domopak”: “Così trasformo la disperazione in speranza”

Trasformare le difficoltà e le incertezze in luce e speranza, fino a diventare un punto di riferimento nel mare tempestoso della quotidianità, proprio come richiamato nel mito greco che richiama il suo nome d’arte. È questo l’impegno che la giovane Anita Ferrari, meglio nota come Asteria, porta avanti attraverso la sua musica e uno stile in cui testi intimi e profondi si sposano con melodie orecchiabili e originali.

 

Come emerso nell’intervista rilasciata a “Sound On”, la giovane rivelazione della scena Urban Pop italiana non si nasconde dietro i suoi ventitré anni e con ambizione prova a farsi portavoce di un’intera generazione che rispetto al mondo alterato e idilliaco dei social preferisce affrontare le inquietudini della realtà e riscoprire la gioia delle piccole cose. E dopo il successo ottenuto con il debut single “Ancora”, inserito nelle più importanti playlist editoriali dei principali digital store, e con importanti riconoscimenti come il Premio Nuovo IMAIE e il Premio Bindi 2021, Asteria è stata inserita nei 43 concorrenti selezionati per Sanremo Giovani e torna con “Domopak”, da cui prende il via la nostra intervista.

“Nasce in un momento molto difficile della mia vita. Mi trovavo in questo rooftop, nello studio dove registravo prima, in una giornata abbastanza uggiosa e nordica, con una particolare cappa. Provavo un certo senso di disperazione, era come se mi mancasse il fiato e quando ho guardato il cielo sperando di tornare a respirare mi sono sentita travolta da questa aria calda e di plastica. Da qui l’idea di “Domopak”, ovvero il racconto di questa sensazione che stringe i polmoni”.

 

Il senso di disperazione torna spesso nei tuoi brani, allontanando l’idea di una vita avvolta in una bellezza irreale, come invece accade spesso sui social…
Certo, sicuramente la mia generazione in particolare ne è coinvolta. Personalmente mi sono proprio resa conto di questo e siamo abbastanza stanchi di vedere questa perfezione. Non a caso ci sono un sacco di movimenti che portano proprio la sensibilizzazione anche allo stare male, a parlarne, a riuscire ad aprirsi con gli amici, con gli altri, con gli specialisti e io di questo vorrei farmi pioniera: credo fortemente che non tutto possa sempre andare bene e che in realtà poi dalle situazioni più difficili riusciamo a trarne un grandissimo guadagno personale.
Io cerco sempre di prendere la disperazione e portarci della speranza, il gioco che mi piace fare è proprio questo.

 

Credi di poter diventare portavoce di questo ideale?
Assolutamente sì, spero di riuscire a farlo nel modo migliore, di essere il più comprensibile possibile per quante più persone. Mi piacerebbe riuscire a portare questo messaggio di una positività che non sia illusoria, bensì molto concreta.

 

 

Come percepisci che quello che stai provando in un preciso momento può diventare una canzone e che può appartenere anche ad altri?
Credo che un brano funzioni quando emoziona e per me vuol dire piangere. Quando io riesco a piangere con un testo che ho scritto, con una particolare sensazione che sono riuscita a tirare fuori, significa che il pezzo è pronto per essere condiviso anche con altri.

 

Utilizzi la musica come mezzo o come fine?
Entrambi. Partono come mezzo, come terapia per l’anima. Magari tramite qualcosa che mi ispira come una sensazione particolare, oppure quello che vedo e che si collega bene a ciò che sto provando in quel momento. E da lì inizio a scrivere, suono, compongo, lavoro sul testo, fino a ottenere un prodotto, una canzone che mi soddisfi.

 

Guardando al passato, come ti sei approcciata alla musica e quali sono state le prime canzoni – non tue – che ti hanno fatta piangere?
Per fortuna non mi sono avvicinata alla musica con i pianti. Ho iniziato suonando la chitarra, cosa che mi emozionava tantissimo. Per questo inizialmente volevo diventare chitarrista, anche se poi ho capito che funzionavo meglio nello scrivere e produrre.
Le prime canzoni che mi vengono in mente sono legate ad artisti internazionali, ricordo i primi concerti dei Kodaline. Le riflessioni legate all’amore, magari a situazioni in cui riuscivo a specchiarmi nel testo scritto dall’artista che stavo ascoltando.

 

Sono gli stessi gruppi che ispirano la tua musica ancora oggi?
Adesso no, devo dire che cerco un riferimento più a livello musicale che a livello di testo. Sento di avere un’identità precisa nella scrittura, cosa che forse non posseggo ancora del tutto nella musica. Sono ancora alla ricerca dei miei suoi, dei miei giochi.

 

 

Dopo aver parlato del passato e del presente, ti chiedo quali sono i progetti futuri?
Mi piacerebbe fare tantissimi concerti e spero vivamente di riuscire a lavorare con artisti più grandi di me per imparare ancora di più come si fa questo mestiere. Scrivere mi viene spontaneo, ma perfezionare quello che faccio secondo me è una cosa da imparare e masticare.

 

Se dovessi scegliere un artista particolare con cui collaborare? Qualcuno con cui pensi di poter avere un feeling particolare…
Senza dubbio Ernia. È il mio maestro e sarebbe un vero onore lavorare con lui, anche perché a livello lirico per me è il massimo.

 

 

di Alessandro Ventre

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