Roberto Casalino presenta “L’ultima”: “Dopo la sofferenza è tempo di rinascere”

Ha firmato successi senza tempo come “Non ti scordar mai di me” per  Giusy Ferreri, “Piccole Cose” cantata da J-Ax & Fedez con Alessandra Amoroso o “L’essenziale”, con il quale Marco Mengoni trionfò a Sanremo nel 2013. Ma accanto a una brillante carriera da autore, Roberto Casalino continua ad alimentare anche il suo percorso come cantante, che a distanza di tre anni dall’ultimo album in studio (“Il fabbricante di ricordi”) lo vede tornare in radio con un nuovo singolo, “L’ultima”. Un brano, figlio delle emozioni vissute dall’artista che, come racconta a “Sound On”, già dal titolo si impegna a riflettere su tutto ciò che è destinato a finire e su ogni nuovo inizio che ne deriva, con l’obiettivo finale di celebrare la felicità.

 

 

 

È uscito il tuo nuovo singolo, adesso anche in rotazione radiofonica. Un lavoro durato più anni…
Sono molto felice di essere tornato proprio con questo brano. Si tratta di una canzone scritta poco prima della pandemia e nella sua forma originaria era molto cupa, rispecchiava il periodo che stavo vivendo a livello personale. L’idea era quella di pubblicarla proprio nel 2020, poi è scoppiato il Covid e ho deciso di aspettare. Nel frattempo, sono cambiate tante cose: abbiamo vissuto quello che abbiamo vissuto, ma in qualche modo c’è anche una rinascita, una sensazione di ritorno alla vita, alla normalità, sia da un punto di vista sociale che da un punto di vista personale. Perciò quando ho ripreso il progetto, mi sentivo rappresentato dalle sonorità e da quello che avevo scritto, ma non tanto dall’atmosfera totale del pezzo. Questo mi ha portato a riscrivere il ritornello, cosa che non faccio spesso, per dare quel qualcosa di solare in cui rivedermi di più. Per l’arrangiamento abbiamo lavorato a stretto contatto con il produttore Nicco Verrienti, mentre ho firmato il testo con una mia carissima amica che non lavora nel mondo della musica, Silvia Ianniello.

 

Nel brano parli di dolore, ma anche di rinascita personale
Esatto. Accanto a una situazione di sofferenza dovuta sicuramente a delle scelte di vita sbagliate, sono poi arrivati anche degli aspetti positivi. Ho imparato innanzitutto ad amarmi di più, a rispettarmi, e volevo che questo fosse il messaggio principale. È il concetto che riprendo nel claim della canzone, l’ultima non è sinonimo di fine, cioè le ultime volte sono circoscritte soltanto a quel determinato contesto, mentre altrove sta già nascendo qualcosa di nuovo.

 

Riascoltandola provi un senso di soddisfazione per il percorso che hai fatto?
Certo, ogni tanto bisognerebbe imparare a farsi un applauso e io non mi do mai le pacche sulla spalla da solo. Questo è un rammarico, perché non mi sono mai goduto le conquiste e invece sono sempre portato a focalizzarmi su ciò che non va come dovrebbe. Però, in questo caso, mi sono fermato a guardare il bello.

 

Come fai a definire una canzone completa e pronta per essere pubblicata?

 

Scrivere per se stessi e scrivere per altri artisti: come decidi cosa tenere per te e cosa invece far cantare a terzi?
In questo sono un po’ anomalo rispetto ad altri autori, soprattutto quelli della nuova generazione. Non riesco a scrivere su commissione, ogni tanto mi limito a sapere che un artista sta cercando un determinato tipo di brano. In quel caso cerco tra le mie cose, tra quelle che sto scrivendo, e cerco di capire se può essere adatto per il linguaggio e per la persona. In alcuni casi si lavora direttamente con l’artista, attraverso un processo più leggero perché sulla struttura originale il cantante aggiunge qualcosa di suo.
Non faccio differenze se scrivo per me o per altri perché non so dare appuntamento alla creatività, semplicemente cerco di colmare un’urgenza. Per alcune canzoni mi rendo conto di poterle cantare solo io, oppure sarebbero più adatte ad altri soprattutto per darle l’opportunità di arrivare a milioni di cuori.
Sono consapevole che il mio progetto cantautorale soffre di alcune difficoltà, però sono grato per avere un’esposizione come autore. Indipendentemente dal fatto che abbia più o meno successo, è bello che qualcuno la faccia propria e la ricondivida.

 

Si dice che la vera ricetta per preparare la hit non esista, eppure negli ultimi anni la maggior parte di queste portano il tuo nome, o quello di Dardust, o di entrambi.
Quali sono le caratteristiche che un brano deve avere per arrivare meglio al pubblico?
A seconda delle stagioni posso dirti che probabilmente una ricetta esiste: per esempio, ultimamente le hit estive insegnano che il reggaeton, o testi molto leggeri, hanno la meglio. Questa cosa non mi appartiene, perché le mie hit estive sono molto più malinconiche, basti pensare a “Cercavo amore” o “Non ti scordar più di me”.
Io ho lavorato molto con Dardust, soprattutto in passato quando lui era principalmente autore, e ci ha accomunato il desiderio di autenticità. Quando sei vero in quello che racconti, il pubblico lo percepisce e resiste al tempo. Personalmente ho voglia di scrivere delle cose che mi rappresentino e per questo capita di sottrarmi ad alcune cose che strizzerebbero di più l’occhio al mercato.

 

Fai sempre riferimento a esperienze personali oppure riesci anche ad attingere da avvenimenti esterni?
Attingo da quello che vivo, però leggo tantissimo, guardo molti film e serie TV che suppongo possano darmi qualcosa, smuovendo dentro ricordi e sensazioni che  magari avevi messo da parte. Forse è un mio limite, perché non riesco a raccontare del sociale se non ho vissuto quell’elemento. Il 90% delle cose che scrivo sono personali e anche in quello che non mi rappresenta totalmente lascio quella parte di casalinità.

 

Dunque, il Covid ha influito?
Veramente tanto. Dopo le prime due settimane di lockdown, ho avvertito un limite alla mia libertà: io vivo da solo con due gatti e Roma, al contrario, è una città che ti avvolge. Amo passeggiare per le strade, fermarmi a leggere su una panchina, osservare. Vedermi chiuso tra quattro mura a tempo indeterminato, senza poter vedere gli affetti più cari come la mia famiglia e il mio compagno, mi ha limitato tanto e ho riversato tutto su un blocco della scrittura lungo un mese. Ho ripreso grazie a un tentativo a distanza con  Federica Abbate, ma questa esperienza mi ha fatto capire che preferisco vedere le persone dal vivo e lavorare in presenza. Scrivo e arrangio molte canzoni da solo, se devo farlo con altri perlomeno facciamolo in uno studio dove è possibile scambiarsi delle energie. La condivisione nella musica è essenziale e lo stiamo vedendo adesso con i concerti.

A proposito di concerti, il 16 luglio ne hai uno molto importante a Roma, al Teatro Spazio Vitale di Nettuno
Ogni giorno mi maledico per aver scelto di organizzare un evento così grande. Prima della pandemia avevo fatto un concerto all’auditorium Conciliazione, per celebrare i miei anni di carriera, con un corpo di ballo di 30 elementi, nove musicisti sul palco, uno show molto teatrale al quale aveva partecipato anche la mia amica Alessandra Amoroso.
Un’esperienza che mi è rimasta nel cuore a tal punto voler riprendere proprio da lì.
Perciò sono molto gasato, ho preparato la scaletta, ci saranno ospiti e ho cominciato le prove anche con il corpo di ballo, dato che mi toccherà anche ballare.

 

Pochi giorni fa Marco Mengoni, con il quale hai un sodalizio artistico importante, si è esibito a San Siro per la prima volta
San Siro ha sempre un sapore magico. Ricordo quando sono andato ad applaudire il mio amico Tiziano Ferro e ha una magia tutta sua. È stato bello vedere marco così emozionato su quel palco, per quanto l’abbia vissuto a distanza dato che a causa di un contrattempo con la macchina non sono riuscito a esserci. Ascoltare il pubblico cantare “L’essenziale” è sempre una botta al cuore, un miracolo che si ripete ogni volta che viene ricantata in uno stadio, in un palazzetto o durante un karaoke. Sono contento per Marco e gli auguro ogni bene.

 

Hai fatto riferimento a Tiziano Ferro, al quale sei legato da tantissimo tempo. Sei riuscito a sentirlo in quest’ultimo periodo?
È stata una delle prime persone che ho conosciuto quando sono tornato in Italia nel ’93, dopo alcuni anni vissuti all’estero con la mia famiglia. Siamo andati a vivere a Latina e lo incontrai in una palestra di pallavolo. Parlavamo solo di musica, così ci siamo resi conto che non eravamo nel posto giusto, pur essendo entrambi molto bravi. Da lì è iniziata una grandissima amicizia che ci ha permesso anche di collaborare insieme, quindi ci sentiamo tutti i giorni. Non vedevo l’ora che lui parlasse anche dell’arrivo di questi due doni, perché è un forte desiderio che ha sempre avuto e adesso è ovviamente preso da questa nuova esperienza. Ma anche dalla chiusura del nuovo disco che uscirà a novembre.

 

Che definizione daresti alla musica?

 

Alessandro Ventre

 

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